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giovedì 7 luglio 2011

verbale commissione sanita'




PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALESSANDRA MANDARELLI


PRESIDENTE. La seduta è aperta.


Audizione del Presidente e portavoce del Forum ex art. 26 e di operatori sanitari, sociali, sociosanitari e famiglie in merito al futuro dei centri di riabilitazione alla luce del Piano di rientro sanitario.

_____. Signor Presidente, spero veramente che questo nastro registrato arrivi alle orecchie del dottor Zoroddu e della Presidente Polverini, che sono molto sensibili a questi temi, in modo tale che si capisca meglio il nostro punto di vista. Noi non chiediamo niente di più.

Noi vi possiamo anche dire come potete risparmiare e non fare tagli trasversali in questo modo, tagli uguali per tutti.

Per esempio, io abito a Roma Nord e ho a disposizione tanti ospedali: ho il San Filippo, il Gemelli, il Cristo Re, tanti ospedali importanti. Presso l'ospedale Gemelli ci sono quattro oncologie, perché abbiamo tanti primari. Iniziamo a levare un po' di primari, di sottoprimari. Pensiamo al reparto di ginecologia e a quanti ragazzini disabili nascono al Gemelli o al Cristo Re: magari chiudiamo un po' di maternità, così non facciamo danni.

Lo stesso discorso vale per il San Filippo Neri: se lì c'è la cardiologia, leviamo un po' di primariati. Questo è un consiglio che potrei dare alla politica. L'ho detto anche al consigliere Esterino Montino, il quale giustamente mi ha riso in faccia e mi ha detto: "Ilaria, ma che dici?".

Noi siamo cittadini consapevoli: sappiamo che i tagli non li dovete fare su di noi e che fino a quando non levate tutti i primari doppi, tripli, all'università, alla Tor Vergata e via elencando non potete toccare le esperienze di vita dei nostri figli.

Ci troverete barricati ovunque. È chiaro: se voi levate tutti i primari e rimane un primario per ogni ospedale di oncologia è logico che a quel punto tocca a noi, nel senso che da qualche altra parte bisogna tagliare. Ma fino a quando non fate questi tagli, che sono prettamente clientelari (e qui mi unisco all'amico e collega genitore), non ci potete toccare.

Guardate che un disabile in piazza fa male al politico. Forse anche un primario incavolato, ma un disabile in piazza, sulla Cristoforo Colombo, fa tanto male a un politico. Quindi, noi sappiamo anche come agire.

In conclusione, voglio dire ai tecnici una cosa che sicuramente sapranno. Per quanto riguarda la compartecipazione dei genitori, c'è un ricorso al TAR, vinto dal TAR, dai genitori in Lombardia, che è partito prima di noi, dove si parla di reddito personale del disabile.

Chiaramente noi come Forum ci metteremo insieme e faremo una class action contro la Regione Lazio: la norma o la cambiate subito oppure è inutile farla. Vi anticipiamo che la vinciamo già. La Regione Lombardia ha fatto ricorso al Consiglio di Stato, che chiaramente ha perso.

Quindi, si deve parlare di reddito del disabile. Voi sapete che i nostri figli purtroppo non lavoreranno mai, quindi non avranno reddito e non possono essere le famiglie a sobbarcarsi sempre e solo delle spese, anche della loro integrazione. Lo facciamo fino a una certa età, poi non ce la facciamo più. Sennò, poi, nelle RSA metterete anche noi.


PRESIDENTE. Do la parola al dottor Corso.


CORSO, Associazione genitori portatori di handicap. Signor Presidente, sono qui in rappresentanza dell'Associazione genitori portatori di handicap di Villa Buon Respiro, Viterbo.

Vorrei sottolineare una cosa, ossia la mancanza di rispetto degli organi istituzionali nei confronti delle associazioni degli utenti. Vi riporto alcuni esempi. Una volta ho fatto parte di una Commissione dell'Assessorato sanità e vi facevano parte, come me, membri esterni provenienti da queste associazioni di volontariato. La Commissione degli interni ha svolto tutto il lavoro senza mai convocarci. Dopo aver svolto un lavoro di circa 300 pagine, quindi a lavoro terminato, ci ha chiamati e ci ha detto: "Questo è il nostro lavoro. Voi dovete esprimere un parere. Avete quarantotto ore di tempo per ascoltare il parere dei vostri associati. Poi venite a riferircelo".

Un lavoro di quel genere, molto complesso e che richiedeva un approfondimento e tempi molto lunghi, è stata una presa in giro...


(Interruzione fuori microfono)


Mi scusi, non c'entra la Consulta per la disabilità. Era un testo sanitario, che adesso non ricordo perché è passato parecchio tempo. Ho fatto questo esempio per far capire come, purtroppo, vengono trattate le associazioni degli utenti.

Vi riporto un altro esempio. Qui sono presenti altri genitori che possono confermare di aver vissuto la stessa esperienza: provate a scrivere una lettera alla Regione Lazio o a chiedere un accesso alla Regione Lazio per un problema che riguarda le persone disabili. Si scrivono e riscrivono raccomandate, si mandano sollecitazioni, ma non arriva mai una risposta: questa è una mancanza di riguardo nei confronti delle associazioni.

Quando si fanno i testi normativi, soprattutto le delibere, credo che sia importante – lo dicono anche le leggi n. 328 e n. 104 – sentire il parere dei familiari. Certamente non si possono convocare tutti i familiari, ma le associazioni maggiormente rappresentative dovrebbero essere interpellate preliminarmente, nella fase di elaborazione di queste disposizioni normative, e non a cose fatte, quando magari vien fuori un taglio, per esempio, del 16 per cento, più il famoso 30 per cento della compartecipazione.

È chiaro che, a questo punto, tutto il discorso di tener presente le esigenze dell'utente disabile viene totalmente vanificato, ed è una mancanza di rispetto grave nei confronti di questa categoria, che rappresenta essenzialmente la fascia più debole della società.

Vorrei concludere il mio intervento – anche per non annoiare troppo – semplicemente facendo notare un aspetto: una categoria di persone così deboli, che non riesce nemmeno ad esprimere la sua voce perché viene soffocata da mille ostacoli burocratici – il muro del silenzio – è possibile...


(Interruzione fuori microfono)


Guardi, io non so qual è il problema, però è un problema che esiste e penso che si debba cambiare atteggiamento culturale, nel senso che una società civile non può non tener conto del fatto che la persona più debole deve essere aiutata di più a far sentire la sua voce.


PRESIDENTE. Che ruolo hanno in queste circostanze gli organi istituzionali che racchiudono, comunque, l'associazionismo? Ricordo di aver avuto una Consulta regionale, che aveva anche le sue diramazioni provinciali e comunali, dove le associazioni che si occupavano di disabilità erano riunite e che veniva consultata come organismo istituzionale, addirittura, prima di prendere le decisioni. E credo che si faccia ancora, perché la Consulta esiste.

C'era, sì, il problema – me lo ricordo – delle piccole associazioni che magari erano poco rappresentate...


_____. No, dobbiamo aspettare un anno per entrare. La nostra associazione ha fatto domanda a gennaio: dobbiamo aspettare gennaio 2012, un anno, per entrare in Consulta perché non si entra nel corso dell'anno. Sarebbe interessante capire il motivo burocratico. La Consulta regionale è più burocratica...


PRESIDENTE. Signora, le posso chiedere una cortesia? Capisco la sua veemenza, e la giustifico, ma visto che parliamo tanto di civiltà, e noi non siamo proprio cartelline, ma siamo esseri umani...


(Interruzione fuori microfono)


Io ho rispettato e ho ascoltato con molta pazienza e anche con molto interesse, perché si impara ascoltando, però non ho interrotto nessuno.


(Interruzione fuori microfono)


No, ci mancherebbe. Magari un po' più di educazione.

Le associazioni si riunivano anche in un Forum. Mi ricordo che c'erano degli organismi e dei tavoli di consultazione con l'associazionismo, fermo restando che sono d'accordo con voi sul fatto che non si è mai attuata, a nessun livello, veramente, l'integrazione non solo sociosanitaria, ma anche con il terzo settore. Quella è una conquista che abbiamo sempre inseguito tutti, da tutti i punti di vista, ma che per un motivo o per un altro, soprattutto a livello locale, non viene mai completamente realizzata. Il volontariato e il terzo settore partecipano veramente poco anche ai Piani distrettuali di zona e alla programmazione sociosanitaria, e questo è un dato di fatto.

Mi chiedevo – visto che la domanda era specifica e l'intervento del signore di Viterbo era specifico – a quale Commissione ci riferiamo, perché io ho tre anni di buco su questa materia. La domanda la rivolgo non in generale, ma a questo signore ed eventualmente ai tecnici dell'Assessorato che sono in grado di dirmi di quale Commissione parliamo e di quale provvedimento...


(Interruzione fuori microfono)


Certo, come no.


CORSO, Associazione genitori portatori di handicap. Scusate, forse non ci siamo capiti. Io sto parlando di un sistema che ignora le associazioni degli utenti. La voce dell'utente non viene ascoltata, la voce della categoria più debole non riesce a farsi sentire. È questo il discorso.

Vi riporto un altro esempio. Con legge regionale è stato approvato il Centro di Accesso Unico alla Disabilità, il CAUD. È stato anche finanziato, ma non è mai entrato in funzione. Quell'ufficio sarebbe stato utilissimo, perché avrebbe potuto accompagnare – essendo stato istituzionalizzato proprio per questo – la persona disabile per mano lungo tutto il percorso, fino ad arrivare all'obiettivo da raggiungere. Quindi, un organo di informazione, di guida e di aiuto. Non è mai entrato in funzione, invece sarebbe utilissimo per aiutare l'utente e tutte le associazioni che hanno bisogno di essere aiutate. Non so se adesso è chiaro il mio discorso.


_____. Signor Presidente, vorrei solo fare qualche considerazione e una riflessione. Noi ci troviamo davanti a una questione che io considero politica. Un tema di questo genere non si può affrontare senza la politica, magari con quella "P" maiuscola che normalmente viene sempre richiamata.

Le Istituzioni hanno un compito e una responsabilità, da questo punto di vista. Quando parliamo di temi così vivi e delicati, penso che l'attenzione della politica e delle Istituzioni debba essere molto alta. Quando noi ascoltiamo le voci, la passione, ma anche a volte lo sgomento degli interventi è perché innanzitutto sono genitori e poi perché esiste anche il meccanismo associativo, che rappresenta un pezzo straordinario di aggregazione intorno alle tante questioni che ci sono.

Che cosa accade oggi? Oggi noi abbiamo – come si sa – questo meccanismo, quest'idea di riconversione. Fondamentalmente abbiamo un declassamento e abbiamo dei livelli di assistenza. Se le cose dovessero continuare così, i livelli di assistenza diventerebbero molto più fragili. Dobbiamo stare attenti (lo dico come meccanismo, anche duro): è come se dovessimo pensare da oggi in poi che i disabili vanno a casa, ritornano a casa. Quando c'è il 20 per cento in meno delle tariffe, è chiaro che le strutture collassano da questo punto di vista. E quando collassano, credo che la politica perda la sua partita.

Ho ascoltato un genitore e so bene che significa quell'idea, quella considerazione, anche culturale, se vogliamo, dove la giustizia sociale e il solidarismo dovrebbero campeggiare intorno a queste questioni. Magari chi sta dall'altra parte pensa che il politico, stando all'interno di un meccanismo più dell'Istituzione, non capisca la questione fino in fondo. Io ho una sorella down. È chiaro ed evidente che se cominciamo a fare ciò di cui ho parlato prima, ossia i "gravi" li facciamo diventare "lievi", questa cosa non funziona. Oggi noi dobbiamo saper ascoltare, anche se io non ne ho bisogno, in verità, perché vivo questa situazione, come la vivono molti dei presenti qui oggi. Penso che noi dovremmo affrontare questa questione seriamente, perché se dovesse succedere quello che prima ho citato, io andrei in piazza. Ci andrei proprio, e non mi fermerei neanche lì.

Perché dico questo? Lo dico come meccanismo un po' di provocazione. Se la politica perderà il senso rispetto alle condizioni più disagiate, più di fragilità penso che le cose andranno sempre peggio. Oggi abbiamo una difficoltà complessiva tra debito, deficit e via elencando, e questo può porre dei limiti o, se vogliamo, delle questioni da superare. Però bisogna che ci liberiamo anche un po' di questo, perché se perdiamo l'orizzonte rispetto alle condizioni più gravi, alle quali bisogna dare sempre un senso (il senso fa parte della vita di ognuno di noi), la politica perde.

Io avanzo una proposta. Oggi è cominciato un percorso. Dobbiamo saper riflettere insieme: non dobbiamo essere affrettati, però bisogna arrivare a una conclusione. Questa storia non la possiamo palleggiare moltissimo. Dopo l'incontro di oggi, con i colleghi qui presenti, inoltre siamo un sistema commissariale, penso si debba fare un passo di chiarezza intorno a una questione così rilevante e mi auguro che non si creino confusioni. Mi rivolgo a ognuno di noi.

La politica ha l'obbligo di fare delle scelte: si tagli dove si può, si trovino le modalità. Abbiamo un tema da affrontare complessivamente in questo Paese: vediamo dove è possibile intervenire, però si vada dove la sofferenza è maggiore. A questa Regione viene posto un tema, ossia quello dell'etica, una parola consumata, non più considerata, un po' messa da parte, un po' nascosta. Penso che, oggi più che mai, in un Paese come il nostro, l'etica su questioni come queste debba campeggiare. Non possiamo far finta che non sia così. Noi conosciamo le difficoltà, però la politica deve saper prendere delle decisioni. Ovviamente, ognuno porterà avanti le proprie battaglie. Quando le battaglie sono di questa natura, credo che la politica e l'Istituzione ne traggano guadagno.


PRESIDENTE. Do la parola al Presidente Conidi.


CONIDI, Presidente dell'Associazione tra familiari degli utenti dell'Istituto "Leonarda Vaccari". Signor Presidente, il mio non è un intervento di alta politica, con la "P" maiuscola. Io voglio calarmi nella realtà di un genitore che ha seguito attentamente gli interventi precedenti. Concordo appieno con i genitori che mi hanno preceduto. Mi riferisco in primo luogo – e la ribadisco – alla questione della compartecipazione, l'ISEE del disabile, e in secondo luogo alla totale inadempienza burocratica da parte delle Istituzioni, sia regionali che delle ASL, per quanto riguarda la disattenzione nei confronti dei nostri problemi: non ci rispondono.

Oltre a queste due questioni, vorrei porre il problema dei disabili gravi. Sono il genitore di un ragazzo che ha avuto un danno da vaccino: ha 33 anni, ma quando aveva tre mesi e mezzo ha avuto questo danno e da allora è disabile grave totale. Per quanto riguarda l'espressione da usare – mi dispiace che tra genitori non concordiamo su questo – lui non è "diversamente abile". Non mi piace questo termine, non lo possiamo usare. Ci sono i diversamente abili che fanno tante cose, ma ci sono quelli, come mio figlio, che non possono fare assolutamente nulla, neanche riconoscere l'interlocutore. Ha subito un danno da vaccino contro la poliomelite a tre mesi e mezzo: prima vaccinazione. È molto più frequente di quanto non si pensi.

Bisogna dedicare una grande attenzione ai disabili gravi. Anche alla Consulta del XVII, dove io sono presente, abbiamo posto questo problema che, però, viene spesso disatteso. È chiaro che fa più appeal parlare di sport. Coloro che fanno le paraolimpiadi hanno degli stanziamenti favolosi, lo sapete: carrozzine che costano un occhio della testa, mentre i nostri figli ogni cinque anni, e neanche le sostituiscono perché non hanno i soldi. Questo non è giusto tra persone che hanno una disabilità.

Quindi, vi è il problema dell'attenzione nei confronti del disabile grave. Nel caso specifico, i progetti "riabilitativi" dei nostri figli non contemplano quasi assolutamente la terapia fisica, e non si capisce per quale motivo. Infatti, noi genitori siamo costretti a farla a casa, ovviamente con pagamento in nero, perché questa è ormai la prassi. Insomma, mio figlio ha sessanta ore l'anno, non al mese, di terapia fisica. Questo è un problema serio.

Il secondo problema, che interessa un po' tutti quanti, riguarda il famoso discorso della compartecipazione, a seguito della quale le assenze dei ragazzi non possono superare trenta giorni l'anno. Perché? Voi sapete che, nel momento in cui è assente, ovviamente non viene pagata la compartecipazione. Capite? A un ragazzo disabile trenta giorni l'anno, senza considerare il cosiddetto "periodo di sollievo", ma non voglio prendere questo argomento, perché altrimenti apriamo un altro capitolo. Si è parlato tanto di "sollievo dei genitori", ma è praticamente inesistente.

Si tratta di ragazzi spesso cagionevoli di salute, che hanno grossi problemi. Basta un raffreddore: che ci vuole ad arrivare a trenta giorni l'anno? E non tocco l'argomento del periodo di sollievo – lo ripeto – perché aprirei una parentesi enorme, e adesso non mi sembra il caso.


PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Bocciarelli.


BOCCIARELLI, Croce Rossa Italiana. Signor Presidente, io opero nell'ambito della Croce Rossa dal 1990 e da sei anni sono precaria. Quindi, sono un medico precario che lavora in questa struttura di riabilitazione. È una struttura estremamente complessa.

In considerazione del tempo a mia disposizione, probabilmente non riuscirò a mettere in luce tutto quello che facciamo al nostro interno. Mi riallaccio al discorso del signore precedente: si occupa della disabilità grave, gravissima, dei diurni, quindi dei ragazzi che hanno, invece, una disabilità lieve, e poi degli ambulatori. Quindi, è una struttura estremamente complessa.

Penso che questo sia il mio primo tavolo di incontro in assoluto. Non sono qui come una persona propriamente militante in questo tipo di situazioni, ma soprattutto come una persona che lavora sul campo, che vede tutti i giorni questa realtà, che la vive appieno e che ha cominciato a risentire del cambiamento e del tipo di lavoro che facevamo e che adesso, forse, saremo costretti a fare se non in maniera sempre più esigua rispetto agli interventi.

Il signore parlava della difficoltà di approccio rispetto al disabile grave e gravissimo. Questo è il compito che noi siamo chiamati a svolgere tutti i giorni. Sono persone in qualche modo completamente dipendenti dagli operatori, in tutto e per tutto, per il minimo accudimento (bere, mangiare). Noi siamo riusciti ad operare, grazie al numero degli operatori che avevamo a disposizione, un intervento mirato, variato secondo il tipo di disabilità che di volta in volta ci siamo trovati davanti.

Noi abbiamo già subito un primo taglio due mesi fa di quattordici unità operative, perché non c'erano i fondi per queste persone. Noi abbiamo dovuto già stringere la cinghia. È un lavoro a rischio sia per il disabile grave – perché si potrebbe essere, in qualche modo, sicuramente meno attenti – sia per gli operatori che devono lavorare con loro, per quello che riguarda la possibilità di infortuni. Poi sulla carta i numeri sono numeri. Nella realtà ci rendiamo conto che c'è anche una discrepanza. È vero, noi possiamo dire che abbiamo ottanta operatori nella struttura, e sembra un numero esagerato, ma nella pratica di tutti i giorni ci troviamo numeri esigui, inferiori, che non garantiscono un lavoro continuo, corretto e attento, come dovrebbe essere, così come abbiamo operato fino a questo momento.

Noi abbiamo operato – penso di poterlo dire – egregiamente nell'attenzione verso tutti questi ragazzi dal punto di vista della socializzazione, dei contatti, delle necessità, dei bisogni. Ci sono alcuni operatori che riescono a capire con lo sguardo quello che succede, senza necessità di avere nemmeno il contatto verbale.

Noi temiamo che tutto questo possa venir meno andando incontro a questi tagli. Da parte nostra c'è questa preoccupazione. Si tratta di malati che, spesso e volentieri, arrivano magari a 33-40 anni, o anche oltre, con delle comorbilità.

Noi operiamo H24, però forse adesso la guardia notturna potrebbe saltare. Circolano queste voci e questo rende inquieti tutti quanti, perché chiaramente la capacità di attenzione nei loro confronti potrebbe venire meno.


PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Patrizi.


PATRIZI, Centro Tangram. Signor Presidente, sono una psicoterapeuta, sono un tecnico che lavora nel Centro, ma sono anche la proprietaria, nel senso che il nostro Centro è gestito dai tecnici che ci lavorano.

Innanzitutto, volevo rispondere a una domanda che era emersa prima per sapere in che modo ci stiamo accreditando. Ci stiamo accreditando rispondendo ai requisiti che ovviamente la sanità ci richiede. E questo è un elemento importante e significativo, nel senso che il personale medico, gli psicologi, il personale sanitario che viene richiesto è fornito in maniera adeguata, così come tutte le normative. È evidente che sembriamo un po' schizofrenici, nel senso che, da una parte, ci stiamo adeguando al massimo per rispondere alla sanità e, dall'altra, ci dovremmo organizzare per non essere più sanitari, più o meno contemporaneamente, a seconda di come andrà la trattativa.

Noi sappiamo che ci sarà una consultazione e che verremo chiamati per partecipare agli incontri, quindi siamo molto fiduciosi, ma anche molto preoccupati. Siamo molto preoccupati per una serie di numeri che sono già emersi dalla relazione.

È evidente che l'aspetto che preoccupa di più è quello sull'utenza adulta e grave. Parlo in tutte e due le vesti: non ci sono dubbi che, anche se si impara sempre (come diceva la signora), arriva un momento in cui l'intervento va cambiato, non è più lo stesso.

Credo che ci sia un aspetto importantissimo, che tra l'altro viene sollecitato da tutte le nuove linee e ricerche scientifiche. Per esempio, la Società italiana per lo studio sul ritardo mentale e anche le associazioni internazionali evidenziano l'importanza non solo di un intervento che rimanga per tutto il corso della vita sulle disabilità più complesse, ma soprattutto lo spostamento dell'obiettivo da un'acquisizione di competenze al ritrovamento di una migliore qualità della vita.

La qualità della vita del disabile e della sua famiglia è l'obiettivo di fondo al quale devono mirare i nostri interventi. Ad esempio, nel nostro Centro noi siamo organizzati con molti interventi proiettati all'interno del territorio. Noi usciamo e facciamo interventi che sono in contatto con i parchi, i centri e le altre scuole, anche con i disabili gravi e anche con le situazioni di epilessia. Questo è possibile, ovviamente, solo e soltanto con un rapporto che permetta la tutela sia dell'operatore a rischio sia dell'utente, così da determinare una posizione – che noi abbiamo condiviso anche con il nostro Comitato famiglia; esiste da sempre, infatti, un Comitato famiglia all'interno del nostro Centro – una posizione che può sembrare molto dura, ma che non vuole essere ricattatoria nella maniera più assoluta.

Se la riconversione ci dovesse chiedere di trasformarci in un SD4 o in un SD5 noi non saremmo in grado assolutamente di continuare a svolgere il nostro lavoro, e lo diciamo con tutto il dolore che questo comporta sia per gli utenti che per gli operatori, che – come dicevo – rappresentano la proprietà e perderebbero il loro lavoro.

Esiste, però, un limite. Il consigliere ha parlato di etica. Esiste un limite oltre il quale non si può andare. Noi abbiamo dei pazienti che hanno delle problematiche psichiatriche, oltre che di ritardo: tutti hanno dei problemi comportamentali molto seri, che sono gestiti all'interno di una relazione che ha permesso il contenimento di certi accessi. Noi partivamo da un'utenza che aveva spesso dei ricoveri per delle crisi, e in questo abbiamo anche abbassato una spesa evitando nel tempo che i ricoveri si dovessero riproporre. Sarebbe veramente una presa in giro nei confronti di tutti, anche della politica, dire che si può continuare a fare un certo lavoro con dei rapporti. Non è pensabile, non è possibile; soltanto con un riconoscimento, che tra l'altro nella bozza iniziale della legge che ci era arrivata era previsto, su una maggiorazione della retta per quei casi che venivano riconosciuti come psichiatrici. Poi questa norma, questa righetta che era nella bozza, nella legge è scomparsa e non so come si intende procedere.

L'ultimo punto che volevo porre riguarda gli adolescenti. Gli adolescenti sono gli utenti più penalizzati, spesso, dalla riabilitazione; sono quelli che meno trovano risposta, perché la riabilitazione della funzione, del recupero di solito è prevista fino a dodici anni. Poi vi è tutta una fase di vuoto, fino a quando non si diventa disabili adulti e, a quel punto, l'intervento è di tipo semiresidenziale.

Esiste una fascia che comprende coloro i quali vengono a volte inseriti nelle scuole superiori per fare un progetto integrato e utile; a volte, però, vengono inseriti nella scuola superiore perché non hanno un altro posto dove andare e rimangono per moltissimi anni nell'aula del sostegno.


(Interruzione fuori microfono)


Sì, sono assolutamente d'accordo con lei. Condivido pienamente. Ed è abbastanza bizzarro, visto che è proprio l'età nella quale si impianta il mondo adulto.

Volevo soltanto dire che forse pensare – ed è su questo che vorremmo puntare la nostra proposta – a dei centri di riabilitazione nel semiresidenziale, che si possano rivolgere anche agli utenti che non si trovano nel percorso scolastico e che devono impostare un progetto di vita da condividere con le loro famiglie, secondo me è un punto importante sul quale la riabilitazione dovrebbe rispondere. Vi ringrazio.


PRESIDENTE. Grazie a voi.


[Spegnimento microfono]


_____. [...] il nostro punto di riferimento, che ha vinto il ricorso della figlia di una signora malata di SLA, che ha costretto la ASL e il Comune a darle ventiquattro ore su ventiquattro l'assistenza domiciliare integrata, quindi sociosanitaria. Su questo riflettete molto. Noi siamo qui a discutere con voi, ma sappiamo che non deciderete voi sul nostro futuro: è una decisione che dovrà essere presa da altre persone. Abbiamo un po' di speranza.

Il nostro non è un ricatto, questo lo voglio chiarire. Prima vi ho parlato del ricorso fatto sul reddito, che deve essere quello del disabile e non quello della famiglia: non deve essere considerato un ricatto, ma un grido d'aiuto. Alla fine, noi dobbiamo per forza chiamare in causa i giudici, ma non possiamo pensare che la vita dei nostri figli possa essere delegata a un giudice. Ci sembra veramente una cosa triste. Questo vorrei lasciarlo a tutti come un pensiero condiviso, penso, da tutti gli altri genitori.


PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il consigliere Rodano. Ne ha facoltà.


RODANO (Idv). Signor Presidente, riprendo un attimo la parola. Prima ho fatto alcune domande, ma adesso vorrei fare alcune osservazioni e avanzare un paio di proposte, anche sulla linea di quello che diceva il collega Dalia.

È stato posto un problema che la gente che svolge il nostro lavoro credo debba raccogliere in tutto il suo significato. Non c'è dubbio che da quindici anni facciamo una politica che in sanità sta dando frutti negativi. Non voglio tornare a parlare di chi ha causato questi debiti, perché non è questo che mi interessa. Non mi interessa tanto chi ha più o meno provocato gli sprechi. Sto cercando di fare un ragionamento non di polemica politica. Sto cercando di fare un ragionamento in sé.

Tutti, di fatto, chi più e chi meno – sto parlando delle diverse persone che si sono susseguite e anche della cultura generale, perché non si tratta soltanto del Lazio, ma è una questione di carattere generale – ci siamo mossi dentro un paradigma mentale che sosteneva la seguente tesi: la sanità pubblica è uno spreco e come tale va tagliata. Poi lo abbiamo fatto più o meno bene, più o meno articolatamente. Questo paradigma è sbagliato. Questa è la verità, fondamentalmente.

Alla fine, voi siete qui oggi a dirci una cosa molto chiara, ossia che dinanzi alla proposta che noi avanziamo loro (trasformateli in RSA ad alta intensità) voi rispondete: "Noi non daremo più il servizio che davamo". Vuol dire, quindi, che quella è una scelta sbagliata.

Anche se non serve a niente, in considerazione della mia parte di responsabilità, effettivamente noi dobbiamo chiedere scusa e dobbiamo cominciare a riflettere su un'altra politica. Noi oggi ci troviamo di fronte al fatto che abbiamo 1,2 miliardi forse, perché i bilanci delle ASL non ci sono e, quindi, la Giunta non li ha ancora approvati; noi non li abbiamo visti e stiamo tornando ad una linea in cui i bilanci delle ASL non arrivano e quindi non so come siamo messi.

Diciamo comunque che c'è 1.200.000 euro di disavanzo annuo, quindi c'è un disavanzo strutturale. Abbiamo tagliato il tagliabile, i pronto soccorsi sono affogati, la gente protesta e loro che ci dicono "Ci ristrutturate? Noi non daremo più lo stesso servizio. Abbiamo ridotto il disavanzo e il paziente è morto".

Mi domando se mantenendo un disavanzo strutturale di 1.200.000 euro possiamo continuare con queste politiche che non risolvono il disavanzo strutturale e riducono i servizi e, come ci hanno detto, scaricano sulle famiglie una parte dei costi. Tra il 30 per cento di compartecipazione, l'aumento delle tasse, i ticket, noi abbiamo di fronte – sto facendo un ragionamento veramente non di parte, nel senso che è un interrogativo che mi pongo; non sto facendo una polemica politica, sto solo cercando di porre un problema, nel senso che è un problema reale...


(Interruzione fuori microfono)

Non da cittadina, da politica, da persona che ha una responsabilità, quindi mi rendo conto che questo ormai è il nodo.

Quando la signora dice "Parliamoci chiaro: io farò la ristrutturazione e devo dire onestamente che non sarò in grado di dare lo stesso servizio" fa un'affermazione pesante: o noi diciamo alla signora che quel servizio è sbagliato oppure non funziona. Il TAR dice che non si può chiudere il pronto soccorso di Ceprano perché altrimenti non si assicura ai cittadini di Ceprano lo stesso diritto degli altri cittadini del Lazio. Il criterio delle quattro macro aree è un criterio sbagliato.

Lo dico veramente con un intento di riflessione. Ne parlavo prima con la signora perché è vero che ci sono sprechi. La signora proponeva di togliere tutti i primari inutili. Non è una cosa insensata perché la gente poi...


(Interruzione fuori microfono)


Esatto, ma non è neanche facile tagliare sulla pelle dei loro figli.


(Interruzione fuori microfono)


Non volevo scatenare nulla. Non è vero. Nessuno dice che ci devono essere cinque primari di neurochirurgia all'Ospedale Pertini.


(Interruzione fuori microfono)

Ci stanno da più di dieci anni. Sono d'accordo con te. Insisto sul punto: non sto facendo una polemica politica. Se mi fate concludere stavo per dire che non c'è solo quello, ci sono anche gli infermieri.


(Interruzione fuori microfono)

Presidente, vorrei finire. Vorrei fare due proposte.

PRESIDENTE. Con tutto il rispetto per la dialettica più democratica, abbiamo dei tempi contingentati che sono già stati superati. Se ognuno di noi parla sei volte, gli altri rimangono senza parola. Mi hanno chiesto la parola altri quattro consiglieri.


RODANO (Idv). Presidente, non è che ogni volta che uno tocca qualcosa diventa impossibile parlare, perché i risultati elettorali dicono un'altra cosa. Io ho diritto di parola e questa Commissione può durare fino alle cinque del pomeriggio. Siamo pagati per questo e possiamo arrivare fino alle cinque del pomeriggio. Riguarda tutti noi. E ci pagano pure bene.


(Interruzione fuori microfono)


Qual è il problema? Io sto cercando di concludere il mio intervento e sarò piuttosto rapida, se me lo consente.

Volevo fare appello anche ai tecnici della Regione per ragionare effettivamente attorno a questi nodi perché la questione che ci viene posta, cioè quella del mantenimento delle attività residue del disabile grave, è una questione che va riconosciuta. Questa è la questione che vorrei porre. Va riconosciuta e va sostenuta. Noi dobbiamo trovare le forme giuste. Abbiamo un problema generale secondo me di mutamento delle politiche sanitarie.

Poi abbiamo anche alcuni problemi più immediati come quello della compartecipazione, quello del non declassamento, del riconoscimento del mantenimento come problema sanitario, non come problema di integrazione tra sociale e sanitario.

Queste persone non sono semplicemente da assistere, come dite voi da contenere, va garantita la loro qualità della vita e vanno mantenute le loro abilità residue.

Penso che un impegno, Presidente, su questa questione specifica vada preso. È il cuore della questione che loro ci pongono oggi. Credo che si possa immaginare un ragionamento non lineare, non di taglio lineare, su questo punto. Chiedo che su questo si possa fare una riflessione specifica.

Secondo elemento. Presidente, le chiedo di prendere in esame un passaggio: è vero che noi non teniamo conto di quello che ci dicono gli utenti e in questo caso, come in altri casi, per esempio delle malattie croniche o delle malattie rare, gli utenti sono esperti, spesso molto più esperti degli stessi operatori, per riconoscimento degli stessi operatori. Ci sarebbe la possibilità con un norma di legge di costruire tavoli...


[Interruzione audio: cambio lato cassetta]


possono dare un contributo. Io ho avuto l'esperienza dei malati di morbo di Crohn che verificavano la ristrutturazione di un reparto e ci indicavano delle cose a cui nessuno aveva pensato, che però per un malato di morbo di Crohn sono fondamentali. Anche su questo potremmo assumerci un impegno che non costa nulla. C'è stata un'esperienza interessante al San Filippo Neri di un tavolo e di un obbligo a rispondere all'utenza esperta. Potrebbe essere un terreno su cui almeno possiamo cominciare a dare una risposta, quanto meno per far sentire i loro interessi.


PRESIDENTE. Prego, Presidente.


PROIETTI MANCINI, Presidente e portavoce del Forum. Sarò telegrafico perché mi rendo conto che ci sono dei tempi da rispettare sia per chi deve tornare a casa o a lavoro, che per i consiglieri.

Vorrei fare un appunto. Innanzitutto credo che ci sia l'opportunità di capovolgere un'impostazione anche invitando tutti, di nuovo, al convegno che faremo il giorno 18. Credo che ci sia l'opportunità di capovolgere un'impostazione e quindi di dare la possibilità alla Regione di non essere quella che taglia nell'immaginario collettivo e anche in pratica, ma di essere quella che prende una posizione, che decide.

Rinnovo, quindi, la richiesta dell'eliminazione dei tagli sostituendoli con altri tipi di intervento. Questo potrebbe essere, secondo me, un modo rinnovato e veramente positivo per coinvolgere tutta la cittadinanza.

La consigliera Rodano aveva fatto alcune domande. Ad esempio, rispetto alle trattative sulla riconversione ci sono dei tavoli, come dicevo all'inizio, avviati con le grandi strutture.

Per quanto riguarda le piccole e medie strutture generalmente dal nostro osservatorio il datore di lavoro, per usare questo termine, la proprietà si organizza autonomamente cercando un contatto. Attualmente le proprietà hanno inviato delle proposte di riconversione per le proprietà con cui abbiamo un contatto alla Regione. Ci saranno dei sopralluoghi da parte delle ASL locali in questo periodo per verificare la razionalità di quello che è stato inviato, la corrispondenza con la realtà. Ci sarà poi un esito ed un giudizio da parte della Regione.

Mi risulta, però, che tante piccole realtà, cooperative e così via, non hanno questo tipo di realtà. La consigliera Rodano accennava anche alla riabilitazione infantile, al fatto che esistono delle ricadute di questa riabilitazione infantile.

Per quanto riguarda la compartecipazione sicuramente esiste questo tipo di realtà. Per quanto riguarda la programmazione degli ambulatori non abbiamo attualmente in possesso un quadro razionale regionale per quanto riguarda il tipo di collocazione della quantità di terapie giornaliere.

Volevo dire una cosa alla Presidente. Poiché per puro caso, essendo anche il Presidente del Comitato nazionale di musicoterapia che fa parte della mia vita, lei accennava all'inizio della seduta all'ipotesi di una collocazione nel sociale di alcune attività e anche nella spesa sociale. Rispetto all'attività di musica con i disabili bisogna distinguere – è stato accennato al disabile grave – due ambiti: uno che è molto specialistico, e quindi per quello non lo prevederei, e un altro invece per il quale è possibile.

Ringrazio tutti. Non voglio concludere, ma voglio solo dire che per quanto riguarda gli sprechi e per quanto riguarda le attività imprenditoriali dei centri siamo tutti disponibili ad approfondire l'argomento e a verificare in modo non lineare quali siano i settori eventualmente da colpire e non quelli invece che sono stati enunciati fino ad adesso.


PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il consigliere D'Ambrosio. Ne ha facoltà.


D'AMBROSIO (Udc). Io non volevo venire, sia da cittadino che da persona interessata dei fatti, perché tre anni fa è deceduta mia sorella. Io ho vissuto tutto il calvario di questa situazione, quindi la conoscono nei dettagli.

È morta a 53 anni ed era sulla sedia a rotelle. Non entro nel merito della situazione che è molto triste. Credo che questi incontri siano fondamentali e lo dico senza retorica, da cittadino.

La società sta andando verso un neomaterialismo forzato. Giustamente diceva la collega Rodano che sono quindici anni che questo neomaterialismo si è affermato attraverso una concezione che non è basata più sulla centralità della persona, ma la medicina, e tutto ciò che è intorno...

Caro Segretario, per cortesia, dato che il Presidente rimprovera chi parla, adesso la rimprovero io. Sto dicendo delle cose serie. La centralità della persona è messa da parte. È una società che ha fatto i decreti n. 502 e n. 229 mettendo al centro il DRG, il risparmio e non l'umanizzazione della medicina.

Se ai tagli necessari del Governo noi non mettiamo un po' di umanità noi come politici perdiamo la funzione della politica stessa che è l'arte e la scienza di governare il presente e progettare il futuro. È facile tagliare.

L'oggetto di questi incontri, e ringrazio la Presidente per averli promossi, è quello di sentire le necessità particolari. La disabilità è una di queste.

Si diceva prima dei professori di musica e della musicoterapia. Non entro nella Costituzione e nei discorsi retorici, ma io so solo che nel Lazio da vent'anni la sanità ha prodotto pochi ricchi e molti mal curati. Vorrei che fosse messa a verbale questa frase: pochi ricchi e molti mal curati. Se questo dovesse continuare questa non è la mia posizione personale.

È importante anche prendere atto di una situazione di emergenza, prendere atto con umiltà da parte nostra e vedere quali proposte si possono fare.

La signora che è andata via adesso ha detto "le decisioni non le prendete voi". Si sbaglia, perché le prenderemo noi, le prende il Consiglio regionale del Lazio. Il Consiglio regionale del Lazio, se non lo ha fatto finora, comincerà ad essere prioritario. C'è il Consiglio regionale e poi c'è la Giunta.

Presidente Mandarelli, vorrei che mi guardasse in viso. Al Consiglio regionale noi siamo stati eletti per rispondere ai cittadini. Quell'Aula consiliare è fondamentale per l'ascolto. Il Governo è una cosa, ma il Governo ha l'approvazione della sua funzione di governo in Consiglio regionale.

Detto questo, vorrei ricordare che per l'ascolto c'è la legge n. 150 del 2000 che istituisce gli URP in tutte le Istituzioni pubbliche. Anche il cittadino, anche le associazioni, al di là del TAR che ha richiamato la signora, l'ASL ha il dovere...


(Interruzione fuori microfono)


Fate così, ma fate le denunce. C'è una legge dello Stato, la n. 150 del 2000, che istituisce gli URP in tutti gli enti pubblici e fa obbligo che ci sia un capo ufficio – è previsto e in bilancio ci deve strare (questa è omissione d'atti d'ufficio) – che ascolti i cittadini e gli utenti su situazioni complesse. Non bisogna chinare la testa, bisogna affrontare i problemi con l'orgoglio di essere cittadini. È inutile fare i tagli. Poi c'è tutto il problema della mobilitazione e questo è un altro discorso che dovremmo affrontare.

C'è da affrontare il fatto che sui più deboli – questa è la mia cultura – non si risparmia. La cultura mia, del mio partito, dell'UDC è che sui deboli non si risparmia.

Poi c'è il discorso della famiglia. La famiglia viene presa in un vortice che contagia e porta a situazioni di sofferenza marcata e all'esplosione anche di contraddizioni interne e i costi sono maggiori. Qui c'è da discutere tanto sulla medicina territoriale, non più solo della medicina ospedaliera, della medicina pubblica, della medicina territoriale, della medicina territoriale come investimento e dei centri di assistenza per quanto riguarda la medicina riabilitativa molto più vasta. È una concezione completamente diversa della medicina.

La Presidente Polverini fa quello che può perché ha trovato una condizione – vorrei solo precisare questo – che era preparata dall'ex Commissario Guzzanti. Non ci avrebbero dato quei soldi se non avessimo fatto quei tagli.

Non c'entra la Presidente Polverini, siamo noi che attraverso questa operazione continua di ascolto che sta promuovendo la Presidente Mandarelli e tutti noi della Commissione dobbiamo vedere quali sono le esigenze.

Poi però queste esigenze debbono essere riportate. C'è poco da sorridere. La gente soffre e tra poco la gente che soffre, con 1200 euro percepiti dal capo famiglia, con una situazione di disabilità in casa, ci porta queste esigenze dentro la Regione Lazio, nei gruppi e nell'Ufficio di Presidenza.

Il clima nel Paese sta diventando un clima in cui la crisi economica si sposa con sacche di emarginazione sociale che possono esplodere lì dove c'è sofferenza vera.

Siete venuti qui, vi ascoltiamo, si verbalizza, ma poi dobbiamo fare delle proposte. Agli uffici le proposte le fa la parte politica perché siamo sempre più soggiacenti alla parte burocratica. Ognuno di noi è eletto per fare delle scelte, la politica è scelta: a chi diamo più soldi? Dobbiamo stare attenti agli sprechi.

Ho parlato in maniera molto diretta. Ringraziandovi della presenza, approfitto per ringraziare la Presidente e tutti quelli che ci sono per l'ascolto.

La partita nasce dai decreti n. 502 e n. 229. Con il decreto 502 i medici diventano dirigenti di primo e di secondo livello.

Con la consigliera Rodano e con altri abbiamo fatto una legge sulle professioni sanitarie che ha dato molta dignità a tutto un settore di operatori sanitari che sono fondamentali per dare sollievo a questo. Purtroppo non sta dando i risultati sperati, ma è stata una fatica.


(Interruzione fuori microfono)


Non ne parliamo proprio. Lo sforzo c'è, la voglia c'è, la voglia del Presidente e di tutti noi consiglieri di maggioranza e di opposizione c'è. Bisogna costruire un percorso insieme, senza polemiche.

Grazie.


PRESIDENTE. Decidete voi come intervenire.


GIANNESSI. Come ho già detto nel primo intervento sono genitore di un ragazzo disabile oltre che appartenente al Forum ex art. 26 e all'Associazione Scuola Viva.

Mi riferisco alle parole del Presidente D'Ambrosio. Prendo atto dell'impegno e mi auguro che ci sia questo impegno a portare in Consiglio – l'ha detto chiaramente – questa problematica. Auspichiamo una discussione in Consiglio sui tagli e su quello che è stato fatto. Lo prendo come un impegno e chiederemo una copia del resoconto stenografico di questo incontro. Gli impegni che vengono presi vanno mantenuti.

Se siamo qui forse è perché fino ad oggi non c'è stato questo impegno. Magari si è sorvolato su alcune cose e non c'è stata attenzione da parte della politica su quelle proposte che venivano messe in campo.


D'AMBROSIO (Udc). Siamo nella fase dei tagli. Gli impegni verranno mantenuti quando si farà il Piano sanitario e rientriamo.


GIANNESSI. Io sono il primo a voler pagare per i tagli che dobbiamo fare per il rientro sanitario, però, come ho detto prima, la politica si deve prendere le sue colpe, deve venire con il capo coperto di cenere e dire di "sì" perché altrimenti parte la cattiva amministrazione. Il discorso coinvolge sia la destra che la sinistra. Se facciamo questo andiamo tutti d'accordo, ma se facciamo solo delle proposte dicendo "faremo, faremo, faremo" io non ci sto.

L'impegno deve essere quello, si deve andare avanti e discutere. Supereremo questo buco sanitario, lo supereremo con l'impegno di tutti e con una direzione certa. L'obiettivo deve essere quello, non variato, biforcuto o di comodo. L'obiettivo certo è la dignità dei nostri ragazzi. Io li chiamo tutti "nostri" perché questi ragazzi sono della comunità.

Rendiamoci conto che sono di tutti e fanno parte di una società civile di cui ci arroghiamo il diritto di essere parte, ci vantiamo di aver ratificato la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, lo facciamo, lo diciamo in tutti i testi. In qualsiasi decreto legislativo della Regione troviamo queste cose.

Ebbene, allora se le troviamo, dobbiamo avere la dignità, il coraggio, la libertà politica e amministrativa di portare avanti le nostre decisioni. Capisco che ci sono i tagli del Governo, ci sono stati, il Governo ha fatto dei tagli, per me, disastrosi soprattutto sulla sanità, ma la Regione deve dire il suo progetto qual è: il progetto sociale.

Se è questo il progetto ci impegneremo, ciascuno per la sua parte, con responsabilità, però ci deve essere un progetto, un indirizzo univoco e chiaro. Questo è importante che ci sia. Grazie.


PRESIDENTE. Siccome siamo già fuori di un'ora rispetto ai tempi stabiliti, dopo il prossimo intervento diamo la parola ai tecnici – ho visto che la dottoressa De Giuli ha preso degli appunti – e mi auguro che riescano ad interloquire in maniera costruttiva e a dare delle risposte anche alle domande che avete fatto.


_____. Mi collego brevissimamente alle parole che ha detto la signora del Centro Tangram. Quando lei dice che non riusciamo più a garantire certi servizi la situazione è questa e forse è anche peggio.

Come diceva prima Rolando il taglio è pesante e noi rischiamo di chiudere. Quando escono gli operatori dei servizi, quando strutture non reintegrano il personale che va in pensione per cui ci si ritrova a lavorare con i turni al minimo questo rischia di far chiudere i centri.

Ve lo diciamo spassionatamente: siamo messi così. Questa è la situazione. Si lavora in pochi nella parte sanitaria, si lavora con senso di smarrimento, di sconforto nella parte riabilitativa, nell'incertezza più totale.

Abbiamo fatto un conto: più o meno sono 20 milioni di euro. Non vogliamo fare i conti perché non vogliamo entrare in queste questioni, non vogliamo neanche entrare nelle questioni di chi è stato o non è stato. Non è più il momento di pensare a questo, non si può più fare, non è necessario.

Chiediamo di dialogare da cittadini con la Regione Lazio, insieme a tutti gli attori interessati per attivare politiche di risparmio virtuose, per rientrare insieme del debito della Regione Lazio, fatto salvo che sui disabili non si deve risparmiare. Bisogna fare in modo che i disabili stiano benissimo.

Come Forum rinnoviamo l'invito a tutti a partecipare al convegno del 18 in quest'ottica dialogante di costruzione di un percorso. Vi abbiamo mandato l'invito a partecipare e saremmo contenti se partecipaste. Fateci sapere così aggiorniamo la lista dei partecipanti e le locandine. Grazie.


PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa De Giuli che proverà a rispondere alle domande e a chiarire dei passaggi.


DE GIULI, tecnico della struttura commissariale. Cercherò di chiarire alcuni passaggi per quello che mi compete su alcuni aspetti.

Forse la prima cosa da fare è mettere a fuoco alcuni elementi su questo decreto n. 89 che viene citato. Sicuramente la sinteticità del decreto stesso non consente di chiarire e di interpretare la filosofia che c'è dietro.

Non si è voluto escludere assolutamente la persona con disabilità dalla riabilitazione. Problema: riabilitazione estensiva, riabilitazione di mantenimento. Così sono accreditati oggi i centri ex articolo 26.

Dobbiamo ricondurre quella che è la nostra realtà regionale ai livelli essenziali di assistenza e mi riferisco al DPCM 14 febbraio 2001 che parla di integrazione sanitaria e al DPCM 29 novembre 2001 che parla di livelli essenziali di assistenza e quindi compartecipazione alla spesa.

La compartecipazione alla spesa – per rispondere alla domanda che faceva Giulia Rodano – non è prevista soltanto per le RSA, ma è prevista anche per le persone con disabilità. Il DPCM 2001 parla di compartecipazione (30 per cento sociale e 70 per cento sanità, oppure 60-40).

Nel decreto n. 95 e poi nella successiva delibera n. 380, che introduce la compartecipazione, non si parla assolutamente di 60-40, ma soltanto di 70-30 proprio perché dalla verifica che è stata effettuata, non solo cartacea, sulla situazione residenziale nei centri ex articolo 26 e semiresidenziale, quindi su tutti i pazienti che ad una certa data, quindi con una prevalenza di punto, sono stati valutati, unitamente a tutte le altre indicazioni che erano rilevate dal sistema informativo, abbiamo visto che questi disabili, queste persone con disabilità hanno bisogni sanitari, hanno bisogni riabilitativi differenziati, non uguali per tutti, non per tutti l'estensiva, non per tutti il mantenimento, hanno bisogni articolati, di diversa intensità.

Questo è lo spirito da cui nasce il decreto n. 89. Non sono tagli sulla carta, tagli sui numeri e non credo che si possa parlare di declassamento anche perché per la riabilitazione estensiva, come tutte le linee guida, come le linee guida del 1998 (ovviamente ci dobbiamo rifare a quelle per i percorsi riabilitativi) il percorso riabilitativo ha un inizio e una fine. Questo, però, non significa che la persona esce fuori dal percorso. Assolutamente non deve uscire dal percorso. Ha bisogno di un qualcosa che vada oltre: integrazione sociosanitaria.

Sentivo parlare prima il papà di quel ragazzo che non fa più fisioterapia. Per quale motivo non fa più fisioterapia? Il percorso riabilitativo comprende anche il percorso fisioterapico. Se sta frequentando un centro di riabilitazione in semiresidenziale deve fare anche quel tipo di trattamento neuromotorio, chiamiamola riabilitazione neuromotoria.

Poi c'è la terapia occupazionale, c'è tutto il mondo. Comunque non deve essere escluso, nessuno l'ha escluso. Quindi, il percorso di riabilitazione estensiva è un percorso mirato in periodi definiti, in periodi particolari. Siamo nella fase di sub-acuzie, così ci dicono le linee guida del 1998.

Ovviamente il decreto parla di tempi. I tempi sono brevi, la polemica è su questi tempi brevi. In tempi brevi, però, per le condizioni patologiche importanti, condivisi con i servizi ASL possono essere prorogati, possono andare avanti, nessuno li esclude.

Poi c'è anche un percorso socio-riabilitativo che non dobbiamo tralasciare. Perché non dobbiamo considerare della stessa dignità del percorso estensivo il percorso socio-riabilitativo?

Qui veniva fuori il problema delle tariffe. Io non vi posso rispondere sulla questione delle tariffe e sulla questione dei tagli. Non è mio compito.


(Interruzione fuori microfono)

Su un percorso socio-riabilitativo forse abbiamo bisogno di più educatori piuttosto che di specialisti in medicina fisica riabilitativa, o neuropsichiatria, o qualche altra specialità medica. Nessuno li ha eliminati. Nei requisiti sono state previste anche figure di questo genere. Si è tenuto fermo quello che era il discorso della delibera n. 583 del 2002, non sono stati stravolti...


PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, ma faccio da interprete a tutte le teste che si scuotono intorno a me. Io sono l'ignorante di turno e mi viene in mente una cosa: abbiamo ascoltato fino ad adesso venti voci – lo spieghi a me perché non ho capito io – che dicevamo che andava tutto male. Ascoltando lei mi viene l'istinto di sollevarmi, sto quasi lievitando: ci deve essere una via di mezzo, c'è sicuramente qualcosa che non va e qualcosa che invece, probabilmente, è stato esagerato. Ci fa capire un attimo qual è il problema?

Le faccio finire la relazione. Ho parlato io perché ho visto che tutti scuotevano la testa.


DE GIULI, tecnico della struttura commissariale. Volevo dire una cosa a proposito di queste valutazioni che sono state fatte sulle persone e sui dati del sistema informativo. Dai dati del sistema viene fuori, chiaro, in tutti questi anni – è attivo dal 2003 e consideriamo che il 2003 è l'anno di inizio dell'attività quindi i dati non hanno un'affidabilità certa, mentre dal 2004 in poi li possiamo cominciare a considerare affidabili – che non c'è una differenza sostanziale tra le persone assistite in modalità estensiva e le persone assistite in modalità di mantenimento.

Abbiamo la stessa tipologia di interventi con la stessa cadenza, con la stessa sistematicità. Il turnover all'interno delle strutture è un turnover pressoché inesistente, tranne in alcune situazioni. Allora ovviamente dobbiamo considerare che esistono disabilità di origine neuromotoria, perché non dobbiamo nascondere che esistono anche queste, quindi quelle derivanti da patologie di origine osteomuscolare o neurologica per cui hanno tempi più veloci, tempi di recupero diversi e abbiamo anche disabilità intellettive. Queste sono le situazioni importanti in cui non c'è assolutamente interruzione di interventi, periodi socio-riabilitativi di lunga durata. Non si parla di esclusione dai percorsi, assolutamente, proprio per tutelare queste persone, i DGS o quant'altro.

I minori, come diceva prima la signora, sono in lista. Ma se tutti i posti estensivi, come abbiamo visto nel corso del tempo, sono occupati – è brutto usare questo termine – in maniera stabile con situazioni per cui non si ha la possibilità di andare avanti, di assisterli in un altro livello assistenziale che è quello socio-riabilitativo di mantenimento non entreranno mai e saranno sempre in attesa.

Un bambino deve essere preso in carico subito perché se aspetto tre anni prima di prendere in carico un bambino significa che la diagnosi è cambiata dopo tre anni. La situazione è devastante per certe condizioni patologiche.

Vogliamo dare ampio spazio e respiro? Il centro semiresidenziale di cui parlava la dottoressa Patrizi per quanto riguarda gli adolescenti è la fascia di nessuno, la terra di nessuno.

Cosa vogliamo fare? Vogliamo fare progetti mirati sugli adolescenti? Benissimo. Il senso del centro semiresidenziale estensivo è questo: fare progetti mirati, di integrazione, ma nessuno vuole abbandonare la situazione di "stabilizzazione" in cui c'è la necessità di un intervento diverso, sociosanitario, di integrazione con il territorio. Questa era la filosofia del decreto n. 89.

Capisco che la situazione economica vi preoccupa, però non possono dire altro su questo.

Sulla trattativa dei centri di riabilitazione, i grandi e i piccoli – faccio una comunicazione alle associazioni che rappresentano i centri di riabilitazione – sono rappresentati prevalentemente da due o tre associazioni. Esiste anche un'associazione che si chiama coordinamento dei centri di riabilitazione. Sono stati consultati e ci sono state delle comunicazioni. È iniziato un percorso di consultazioni con FOAI, ARIS. Sono quelli presenti maggiormente all'interno del sistema.


(Interruzione fuori microfono)

Tutti i centri, tranne una minima parte che si conta sulle dita di una mano, hanno dichiarato di aderire ad una o all'altra associazione.


PRESIDENTE. Prego.


MACORATTI. Sono genitore di una ragazza che frequenta Scuola Viva. Siccome già una persona di Scuola Viva ha parlato non volevo intervenire anche io.


(Interruzione del Presidente)


Rimango un po' sorpreso da questo ultimo intervento. Fino ad adesso ho sentito tutte cose condivisibili e anzi sono d'accordo su tutto quello che hanno detto anche i consiglieri.

Sono tutte cose giustissime, che condivido. Non condivido, però, quest'ultimo intervento perché è esattamente il contrario di quello che stiamo dicendo. Noi siamo qui proprio per contestare questo tipo di intervento che è stato fatto con il decreto n. 89 al punto tale che veramente io credo che tutta questa legge sia uscita fuori per i tagli, non il contrario. Non è che è stata studiata questa legge perché bisognava riformare questo sistema, ma i tagli hanno riformato il sistema.

La riabilitazione, prima, funzionava in una certa maniera, perlomeno fino a un certo livello. Io sono abbastanza ignorante in materia, però lo vedo con i progressi che ha fatto mia figlia che ha 24 anni. Prima si parlava di evoluzione e anche di continuità della riabilitazione. Bene, mia figlia ha iniziato sei mesi fa ad allacciarsi le scarpe, cosa che non ha fatto in 23 anni. Questo è il prodotto di una riabilitazione continua, di un apporto continuo che finirà quando lei morirà.

Mi riallaccio a quello che diceva lei, però il discorso dei sessanta giorni di progetto è una cosa allucinante. Mia figlia aveva un progetto a un anno che adesso è diventato a sessanta giorni con la possibilità di avere delle assenze che sono inevitabili e la possibilità di essere dimessa. È così, non deve scuotere la testa.

Credo che comunque il principio sia quello – e mi ricollego a tutto quello che hanno detto anche i consiglieri – della dignità dell'essere umano, ma soprattutto del mettere al centro il disabile. Noi stiamo vivendo una regressione culturale che non ha precedenti. Io ho 63 anni, lei è molto più giovane di me. Dal 1948 ad oggi ho visto piano piano tornare indietro il sistema.

Le conquiste sociali e civili che abbiamo ottenuto fino ad oggi sono frutto di sangue, sono frutto di gente che è morta per questo, sono frutto di tutto un processo storico che ci riporta oggi ad essere il prodotto di quel processo.

Se torniamo indietro abbiamo chiuso. Se in questa occasione non abbiamo neanche la forza di prenderci la responsabilità personale di poter cambiare le cose...


(Interruzione fuori microfono)


Dicevo a lei soltanto per dire...


(Interruzione fuori microfono)


Va bene, mi fermo qui.


PRESIDENTE. Prego.


_____. Scusi, Presidente. È riferito a lei e lo devo dire per forza. Io vorrei che lei concludesse perché non voglio che concluda l'amministrativo o il tecnico. Secondo me non è questa l'impostazione che abbiamo dato a questa riunione. Non è possibile che il politico faccia concludere il tecnico o colui che fa i conti. Noi vogliamo capovolgere l'impostazione. Io vorrei che lei concludesse...


(Interruzione fuori microfono)


No, deve parlare spassionatamente. Poiché siamo in un Paese nel quale si è detto anche che Eluana poteva partorire, aveva bisogno di vivere e di riabilitazione, noi crediamo che i Ciccio, i Franco, i Luigi eccetera abbiano bisogno di riabilitazione.

Non può essere l'amministrativo o il contabile a determinare le conclusioni di una riunione come questa. Ci dica due parole, dal cuore, ma ce le dica lei.


PRESIDENTE. La ringrazio della fiducia, però, il tecnico non sta intervenendo in sostituzione della politica, che, secondo me – mi perdoni – parlando in maniera proprio generalizzata, parla pure troppo. Io ho quest'idea del lavoro che noi facciamo: si parla molto, e mi fermo qui.

Parlano i tecnici perché i tecnici in questo momento sono quelli che sono a stretto contatto con una struttura che non è prettamente politica.

Vi invito a pensare che gli interlocutori esterni cambiano, però realisticamente io sono sempre la stessa e i miei colleghi sono sempre gli stessi. Sembra quasi che reciti una cantilena. Purtroppo a tutti noi piacerebbe fare politica. Io vengo da un'esperienza nel sociale. Non l'ho esercitata come ruolo politico e basta, l'ho esercitata con il cuore. Apro una parentesi: io ho profondo rispetto di chi soffre, quindi penso che la condizione di sofferenza, qualunque essa sia, sia intanto profondamente personale e quindi nessuna è uguale all'altra, perché dipende da chi recepisce la sofferenza e da come la si vive. Ci sono soggetti più forti, che reagiscono meglio, altri più deboli che reagiscono diversamente.

Vi invito però a pensare, salva questa premessa, che siamo tutti esseri umani, quindi ognuno di noi prova delle cose. A volte vengono fuori delle esperienze personali quasi a sancire questo concetto di umanità che poi contraddistingue anche noi. Difficilmente – è capitato qualche volta in questa Commissione in momenti estremi – è successo che abbia messo in piazza le mie situazioni personali. Non mi piace di solito farlo per una strana propensione mia a non metterle in piazza e perché ho comunque una coscienza.

In questo momento noi rappresentiamo le Istituzioni e abbiamo un ruolo da svolgere, come in una commedia che si rispetti e che vada a buon fine e voi avete il ruolo di quelli che si possono permettere di soffrire in questa fase, però vi assicuro che se accedessimo a un dibattito pensando che siamo tutti esseri umani vi assicuro che per noi non è piacevole assistere alla sofferenza degli altri o comunque non poter dare delle risposte politiche caricandoci di responsabilità.

Quando facevo l'assessore alle politiche sociali ho visitato delle strutture. Spesso si accede a questo ruolo, al ruolo di politici, di amministratori con la coscienza, con l'idea, con l'ambizione o l'illusione a volte di voler cambiare il mondo, le cose radicalmente e poi ci si scontra con la dura realtà che se riesci a fare dei piccoli passi alla volta sono già delle grosse conquiste.

Se posso spezzare una lancia a favore di qualcuno che mi ha preceduto nel fare questa affermazione, il vero nemico dell'Italia e delle soluzioni intelligenti e veloci è la burocrazia, perché quello è il vero danno.

A volte ci accorgiamo che per questi tavoli di condivisione, per le pletore di gente che parlano, per quella che si chiama democrazia che tutti nominano, ma in pochi sanno usare, passa del tempo e non si danno le soluzioni.

Vengo da un mondo molto tecnico dove le soluzioni vanno date per tempo, perché i tempi sono importanti tanto quanto le soluzioni. Purtroppo il mondo della politica e dell'amministrazione spesso non rispetta questa logica e nascono i problemi sociali.

I tecnici ci sono perché oggi non è la politica che parla purtroppo su questi temi, per quell'eredità che Giulia Rodano ammirevolmente, molto onestamente a livello intellettuale, perché io ricordo essere stata lei una degli oppositori interni della precedente Amministrazione nonostante ne facesse parte in quadro assessorile come spesso lo facevo anch'io, quindi questo corrisponde a verità. Però, realmente, con tutta la nostra veemenza, anche con tutto il nostro impegno, non si è riusciti a fare grosse cose.

Questo è un retaggio che ci portiamo dietro da anni. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere i problemi. È come se oggi io entrassi in questa sala e dicessi: "Che bello c'è la boiserie su tutto il muro" e qualcuno mi saltasse addosso dicendo che non c'è.

Quella che noi oggi siamo costretti a fare, purtroppo, è una presa d'atto. Poi i fenomeni sociali, culturali e anche amministrativi non avvengono mai perché li ha voluti solo qualcuno. È una società – lo diceva bene il signore di prima – che cambia e che probabilmente peggiora anche.

Allora alla fine va usata anche un po' di comprensione per chi fa una presa d'atto anche soffrendo. Se poi non volete credere a questo in maniera umana, altruistica e di confronto, credeteci guardandoci come degli egoisti.

Egoisticamente e politicamente oggi farebbe comodo a tutti dare delle risposte concrete e parlare in maniera meno cruda oppure venirvi incontro dicendovi che domani risolveremo tutti i problemi.

Purtroppo non parlano i tecnici perché si sostituiscono alla politica, parlano i tecnici intanto perché noi siamo Commissione sanità con un ruolo legislativo, politico, propositivo, ma non decisionale perché non facciamo gestione. In questa materia delicata non c'è nemmeno una Giunta che fa gestione, non c'è nemmeno un Presidente della Regione, ma c'è un Commissario ad acta e quindi purtroppo devo dire che, ahimè e obtorto collo, a volte parlano i conti.

Noi la consideriamo come una condizione transitoria, nel senso che oggi siamo obbligati, perché altrimenti si blocca un sistema, a dare delle soluzioni anche contabili. Lo diceva bene il collega D'Ambrosio.

Senza polemiche, io mi sto sforzando di fare un discorso un po' più filosofico e meno politico perché poi nasce la polemica e in questi giorni tutto è necessario, meno che ulteriore polemica. È necessaria forse un po' di riflessione da parte di tutti. Spero che io non abbia innescato qualche miccia strana. Mi sto sforzando di essere quello che in realtà non sono, cioè meno impulsiva di quello che sono per carattere.

Egoisticamente parlando, a un politico fa più comodo dare risposte che dire dei "no", però i "no" non vengono necessariamente da chi sta amministrando da sette mesi e fa una presa d'atto. La presa d'atto è la conclusione di un percorso.

Un esperto sulla sanità, facendo delle visite per gli ospedali, quando io dicevo che era impossibile che non si riuscisse a risolvere una cosa (si parlava di una cosa molto grave che adesso non sto a ripetere) mi ha detto: "Presidente, guardi, lei forse non lo sa, ma in sanità noi diciamo che per un anno di malasanità ce ne vogliono tre per mettere a posto le cose". Io mi sono spaventata, terrorizzata perché quanti anni di malasanità abbiamo alle spalle non li so più contare.

Questa non è una giustificazione. Ho partecipato alla Giunta precedente come assessore alle politiche sociali e oggi sono qua ad occuparmi di sanità.

Da assessore alle politiche sociali guadavo alla sanità come ai cugini ricchi e dicevo: "Questi hanno un sacco di soldi e a noi non danno mai niente. Noi facciamo sempre fatica a fare gli interventi sociali, a fare integrazione". Non avevamo mai soldi a sufficienza. Anzi, spesso la sanità utilizzava pure quelli nostri. C'era sempre questa diatriba tra i due Assessorati: si tentava di fare l'integrazione, ma si sforava sempre nella sanità e poco nel sociale.

Poi sono passata alla sanità e pensavo: "Che bello, avremo un po' di soldi per fare qualcosa" e invece siamo in Piano di rientro. Forse porto sfortuna io. Speriamo di no!

Scusate la battuta, ma è per alleggerire un po' il clima che mi sembra abbastanza teso.

Ho avuto il terrore davanti a questa cosa, ma in realtà è vero. Questo percorso viene dalle mancate denunce negli anni, dagli sprechi che si sono perpetrati non soltanto per colpa di una categoria che sia politica, che sia delle proprietà, per un sistema che si è creato molto strano che ha portato, come diceva il mio collega, pochi ricchi e tanti male assistiti.

Quando io sento un genitore che dice: "A mio figlio, che è un disabile grave, è venuta a mancare la riabilitazione", mi viene in mente un altro meccanismo che non parte né dai tecnici regionali, né dalla politica regionale trasversalmente intesa, ma che parte da un sistema che non viene dall'alto.

Allora, senza fare esempi specifici, perché altrimenti rischiamo di offendere qualcuno, mi viene in mente la nostra legge sulla non autosufficienza, la legge n. 20, di cui fui firmataria come assessore proponente e che fu approvata all'unanimità. Quindi, non mi pare di far torto a nessuno ricordandola oggi da un altro punto di vista. Quella legge portava a un'assistenza domiciliare integrata, a finanziamenti pari a 13 milioni di euro l'anno, con una programmazione triennale.

Oggi ho scoperto da Presidente della Commissione politiche sociali, mentre andavo sui territori e in particolare sul mio...


(Interruzione fuori microfono)


Lasci stare che non c'è più, perché io poi sono venuta a mancare politicamente e non so che cosa sia successo.

Oggi verificando quei fondi, come sono stati usati sul territorio, sul mio territorio, scopro che hanno usato 13 milioni di euro per mettere le protesi alla gente.

(Interruzione fuori microfono)


Questo non significa che è tutto nelle mani...

Ricordo a me stessa a voce alta quali sono i ruoli delle varie Istituzioni. Quando io provavo – sempre per quel caratterino che oggi magari non viene tanto fuori – a dare delle soluzioni un po' più pratiche mi dicevano: "Ti devi stare zitta perché la Regione non è un ente di gestione, la Regione è un ente di indirizzo". La gestione la fanno i Comuni e le Province coordinano.

Mi viene in mente per tanta fatica che noi facemmo su quella legge che oggi forse avrebbe creato, se avessero seguito gli indirizzi che avevamo dato veramente con tanta fatica (mi ricordo riunioni di quindici ore), un'assistenza domiciliare integrata che avrebbe sollevato un pochino la situazione dei territori, delle famiglie, della disabilità.

Non vi dico cosa ho provato, in termini di umanità, quando ho scoperto come erano stati usati quei soldi. Mi sono ricordata la nostra fatica. Chi ha fatto gestione forse dovrebbe rispondere. La gestione non la facciamo noi, purtroppo.

Dottoressa, però, quando questo signore dice che a suo figlio è venuta a mancare l'assistenza riabilitativa e lei invece mi dice che non dovrebbe venire a mancare mi viene in mente una bella parola che, forse, non è stata mai attuata: i controlli. Quelli li possiamo mandare noi.

Non si può pretendere a volte...


(Interruzione fuori microfono)


Mi perdoni, finisco. Mi hanno sollecitato, altrimenti sarei stata zitta e tra l'altro sto facendo una grande fatica perché in sede istituzionale è difficile parlare come uno pensa.


[Interruzione audio: cambio lato cassetta]

poi ha fatto qualche assenza. È inutile parlare dall'alto. Poi uno deve pensare anche a come funzionano le cose praticamente. Ci sono dei sistemi che funzionano male. Gli ideali camminano sempre sulle gambe degli uomini. Se le gambe degli uomini sono dritte camminano bene, altrimenti poi ci sono delle storture nell'ambito di tutti i sistemi umani.

A questo punto i controlli, secondo me, sono la parola chiave. È possibile che noi abbiamo ragione nel progettare, ma io non credo che loro abbiano torto, quindi ci deve essere una terza spiegazione. A questa terza spiegazione si arriva con la parola controlli. Spero di essere stata abbastanza istituzionale, ma anche abbastanza chiara.


_____. Noi in un precedente documento, in una lettera tra amici, avevamo ricavato un dato da internet: le Unità cliniche valutative della Regione Lazio avevano fatto una ricognizione per la determinazione del fabbisogno. Si prevedeva la riduzione da 2457 posti per la riabilitazione nell'intera regione a 365 interventi in estensiva e a 102 in mantenimento. Quindi, i restanti 1990 posti sarebbero stati riconvertiti in SD4 e SD5.

Allacciandomi brevemente al discorso dei controlli è ovvio che se la norma è SD4 o SD5 i controlli che vado a fare non li vado a fare su condizioni ideologiche e filosofiche di intervento secondo come la vedo io operatore o altro, li faccio su SD4 o SD5. Se prevedono una retta di 49 euro al giorno per il diurno non andiamo da nessuna parte con tutto quello che ci siamo detti fino ad adesso di intervento multidisciplinare, di stimolo fino all'ultimo giorno.

Chiedo il conforto su questo dato. È vero o no?


DE GIULI, tecnico della struttura commissariale. Lei si sta riferendo alla quota sanitaria, solo alla quota sanitaria, perché a quello bisogna aggiungere il famoso 30 per cento.

Volevo anche dire una cosa che forse non ho detto prima. La delibera n. 380 non parla di reddito della famiglia, parla di reddito che è più favorevole alla persona con disabilità, cioè il reddito personale.


(Interruzione fuori microfono)

È il problema dei Comuni. La regola era la seguente: 13.000 euro la soglia di sbarramento...


(Interruzione fuori microfono)


Esatto.


RODANO (Idv). Però, dottoressa, capisco che il tecnico fa il suo ruolo e non può che rispondere delle norme e dei decreti che sono assunti per responsabilità politica, quindi io mi guardo bene dall'attribuirle responsabilità che lei non ha. Lei applica, con criterio, con onestà e competenza, le scelte che vengono operate. Lei dice 49 euro più il 30 per cento sono altri 15 euro per un totale di circa 65 euro. È evidente che questa retta – è stato detto chiaramente – non consente un mantenimento adeguato. Questo è il punto che emerge. C'è poco da fare.


(Interruzione fuori microfono)


Non sto dicendo che la responsabilità è sua, lo sto dicendo a me stessa.


(Interruzione fuori microfono)


No. Qual è la questione? È chiaro che se io considero la grande parte dei disabili adulti gravi come persone da contenere in una struttura, in un centro diurno a 70 euro, ci rientro. Se io considero queste persone a cui devo migliorare la qualità di vita, tenere il più possibile alta la qualità della vita, garantire le abilità residue, sollevare la sua famiglia, non ci rientro. Questa è la questione che viene posta. Poi se è sociale o sanitaria non ci importa.

All'inizio chiedevo se c'era un problema di tariffa. Alla fine è questo il nodo. Ricordo ancora un fisioterapista che, visitando un centro di malati gravissimi, mi disse: "Dottoressa, se io questo paziente non lo tratto tutti i giorni mi si accartoccia". Io lì ho capito che cosa voleva dire il mantenimento. Noi, nella peggiore delle ipotesi, dobbiamo evitare il peggioramento. Questa è la questione.

L'SD4 e l'SD5 non vanno bene, il loro tipo di caratteristiche. Non è terminologico il problema. È culturale la questione, oltre che finanziaria ed economica. Siccome si tratta di 20 milioni di euro, di 30 milioni di euro e noi abbiamo 1.200.000 euro di disavanzo, io credo che noi dobbiamo fare uno sforzo per trovare 30 milioni di euro per garantire la qualità di vita residua dei disabili del Lazio.

Credo che questo sia l'impegno che dobbiamo assumerci. Poi troviamo il modo, troviamo il modo in bilancio, facciamo un lavoro e uno sforzo dentro le condizioni date.

Dopodiché, secondo me, bisogna rovesciare le condizioni generali, ma questo non è un problema di questo tavolo. Magari ne discuteremo il giorno 18.

DE GIULI, tecnico della struttura commissariale. Ho premesso il problema delle tariffe perché, in realtà, i principi riabilitativi, la riabilitazione estensiva con una certa intensità, con un certo percorso mirato e definito come dicono le linee guida nazionali e internazionali, e il percorso socio-riabilitativo che ha identica, pari dignità, anzi io ritengo che per certe condizioni sia il percorso migliore, costituiscono il percorso più adeguato.

Qualcuno diceva prima dell'eccessiva medicalizzazione. Secondo me, proprio il percorso socio-riabilitativo consente una non eccessiva medicalizzazione evitando di portare tutto, come è successo in altre realtà regionali, al sociale.

Sono persone che hanno bisogni sanitari, bisogni riabilitativi e bisogni sociali. Secondo me garantendo il percorso socio-riabilitativo miglioriamo la qualità della vita perché dura tutta la vita. Non possiamo pensare ad una riabilitazione estensiva per tutta la vita. La riabilitazione inizia e finisce in un certo percorso. Poi nulla osta che per motivi particolari, recrudescenze e situazioni particolari, si possa intervenire con percorsi mirati, temporanei di un certo tipo. Poi si continua con il percorso socio-riabilitativo.

Nessuno sta dicendo che questa cosa sia sbagliata. Certo, sul problema delle tariffe io non posso rispondere. Quello è il nodo della questione, ma non certo dal punto di vista dell'impostazione clinica.


PRESIDENTE. Non ho più iscritti a parlare.


_____. Vorrei solo dire che i controlli ci sono e sono mensili. Il problema delle sessanta ore di terapie è proprio dell'Istituto Vaccari.


PRESIDENTE. Io ho parlato in maniera generale. Mi costringe a dirlo: io l'Istituto Vaccari l'ho visitato da assessore alle politiche sociali e ho conosciuto anche la proprietà. Non era riferito a qualcuno e non abbiamo accusato nessuno.

In realtà, però, mancano i controlli in generale.


_____. Nel nostro caso no e sono mensili.

(Interruzione fuori microfono)


Le sessanta ore sono assolutamente in linea con quello che prevede la normativa.


PRESIDENTE. Non apriamo un discorso specifico su un Istituto.


_____. La dottoressa lo sa. Il mantenimento in semi convitto prevede un accesso giornaliero.


DE GIULI, tecnico della struttura commissariale. Io mi riferivo solo alla fisioterapia.



_____. Qui stiamo parlando di semi convitto e di mantenimento elevato.


DE GIULI, tecnico della struttura commissariale. Sì, ma io mi riferivo al trattamento di fisioterapia, non ad altro.

_____. Invece l'altro c'è.


PRESIDENTE. Visto che entra nello specifico, perché non c'è la riabilitazione fisioterapica?


_____. C'è ed è prevista a cicli perché quello prevede la normativa. Tra l'altro quello si può fare con il budget ridotto del 16 per cento.


PRESIDENTE. Questo è un altro discorso.


_____. È proprio così. Prima non c'era questo problema.


PRESIDENTE. Ringrazio tutti. Comunico che il resoconto stenografico di questa audizione sarà inviato alla struttura commissariale. I tecnici hanno già acquisito la documentazione che ci avete consegnato insieme al verbale dell'audizione. Vi ringrazio. Ci faremo portavoce di queste istanze.


La seduta è tolta.



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