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mercoledì 30 marzo 2011

SFASCIO

Sanità nel Lazio, abbiamo toccato il fondo e qualche privato eccellente getta la spugna. Nell'indifferenza generale

Forse sarebbe bene che oltre a fare pulci alle leggi varate dal Governo Berlusconi il presidente Napolitano si guardasse intorno e si occupasse di ciò che accade sotto il colle del Quirinale. Parliamo di sanità. Di una situazione fuori controllo e che sembra aver  superato ogni limite accettabile. C'è un presidente commissario, non c'è un assessore, fanno e disfano i collaboratori più stretti del Governatore e adesso è arrivato dalla Lombardia un nuovo sub commissario che pare si sia già messo le mani nei capelli di fronte al caos che si è trovato a gestire.  Perché se c'è una logica in quello che sotto il profilo tecnico viene suggerito dall'Asp, l'Agenzia di sanità pubblica, non c'è n'è affatto nella traduzione pratica, sul territorio, operata dal team di Renata Polverini. E quando non c'è logica si va a fondo, amministratori e amministrati. Se una buona fetta della sanità pubblica non riesce a far fronte alla quotidianità, se una fetta altrettanto consistente della sanità privata d'eccellenza chiude o minaccia di chiudere qualcosa non funziona. Non si possono fare tagli sulla base di equazioni astratte, non si possono chiudere e riconvertire centinaia di reparti, decine di ospedali, giocare in modo schizofrenico con i Dea di secondo livello e con i Pronto Soccorso (chiusi una decina secondo criteri discutibili). Non si può costringere il Gruppo San Raffaele a chiudere bottega da un giorno all'altro dopo aver cercato invano una mediazione con la Regione, lasciando in eredità alcune migliaia di pazienti ad un servizio sanitario pubblico non in grado di reggerli, e mettendo fuori altrettanti dipendenti. Non si può mettere in ginocchio la Fondazione S.Lucia, asse di equilibrio per migliaia di pazienti neurolesi e per le loro famiglie. Parliamo di privati che hanno investito pesantemente in innovazione e che  vantano crediti milionari.  Ma l'impresa non regge con un interlocutore come la Regione Lazio, che agisce e determina secondo regole che con l'impresa non hanno nulla a che fare. Ma se il danno alla collettività si limitasse al massacro del privato d'eccellenza si potrebbe pensare ad un accanimento sostenuto da una ideologia. Ma non è neanche questo. E allora? Non si era sempre convenuto che sulla sanità non si può fare un  discorso meramente ragionieristico?  Ora la situazione si è fatta drammatica, insostenibile. Non si può procedere con il bilancino del farmacista o con il machete del tagliatore di teste. Quello di amministratore pubblico è un mestiere difficile, bisogna saperlo fare. La gestione della sanità è ancora più complicata, va lasciata fare a chi se ne intende. Se il privato abbandona, se il pubblico va a fondo (leggi lo sfascio del Pronto Soccorso), ci sono responsabilità precise. Meglio sarebbe la collaborazione. Ma se non è possibile usare il buon senso qualcuno dall'alto del Colle intervenga.  Lo faccia da buon padre, fuori dagli schemi.


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